Il sarcofago divenuto altare

 Il sarcofago divenuto altare
 

 

Il sarcofago di San Donnino è formato da due elementi ben distinti tra loro sia per materiale di costruzione che per datazione: l’urna e il suo coperchio.
L’urna è di epoca romana, proveniente da una cultura funeraria pagana. Si tratta di una sepoltura monumentale da esterno, perché nel mondo  romano, soprattutto quando si voleva celebrare una persona di un certo rilievo, il sarcofago veniva esposto per essere visibile in modo tale che chiunque lo desiderasse avesse la possibilità di celebrare il defunto ivi contenuto.
E’ costruito in marmo proconnesio, a cassapanca, con una lastra centrale (tabella) pronta per accogliere un’iscrizione che parlasse del defunto e due pannelli laterali, incorniciati e sbozzati, anch’essi predisposti per bassorilievi di natura celebrativa/decorativa.
Nel sarcofago di San Donnino sia la tabella che le pareti brevi non sono mai state iscritte né scolpite, indicando dunque un’incompiutezza dell’opera. Sostanzialmente si tratta di un prodotto lavorato nelle sue parti principali nella cava di marmo da cui proviene, mentre restano incompiute le parti che avrebbero richiesto una personalizzazione del sarcofago in relazione al defunto che sarebbe stato deposto al suo interno.
Il percorso del manufatto è lungo e “via acqua”: dalle cave di Marmo dell’isola di Proconneso nel Mar di Marmara all’Adriatico. Dal porto di Ravenna al Po. Dal Po al Taro. Dal Taro allo Stirone e quindi a Fidentia.
La datazione del sarcofago la si può trovare attraverso l’analisi di alcuni elementi stilistici che trovano diffusione a partire dal II sec. fino al IV sec. d.C., periodo che coincide con il martirio di San Donnino.
D’altra parte, il coperchio è  visibilmente diverso dal suo sarcofago, non solo perché è costruito in pietra (e non in marmo proconnesio), ma perché reca un segno nettamente cristiano che è la croce fiorita a bracci patenti (equilatera e con riccioli in fondo ai bracci) incisa sopra il coperchio stesso, tipica del periodo carolingio (IX sec. d.C.).
Probabilmente la costruzione del coperchio in epoca carolingia ha a che fare con l’inventio di quel periodo e la costruzione della Chiesa di quel perdiodo.
Un altro elemento che ci dà ulteriori informazioni sulla datazione del coperchio è il mattone di San Donnino, in realtà un frammento laterizio che reca un’iscrizione orizzontale su tre righe indicante un luogo, ossia il luogo in cui il corpo del martire è collocato: ibi conditus – dove è nascosto.
Studi paleografici hanno evidenziato che le lettere dal tratteggio quadrato identificano una scrittura di ascendenza d’oltralpe e di transizione tra l’epoca longobarda e quella carolina (decisamente diversa dalle epigrafi presenti sui sarcofagi pagani).
Questo mattone ci dice che il sarcofago, nato per essere esposto all’esterno, è stato in realtà nascosto fin dall’inizio, sia perché doveva essere protetto dalla profanazione di chi perseguitava i cristiani, sia perché nel culto cristiano o comunque in quello della sepoltura in fossa, il sarcofago con il corpo del defunto doveva essere interrato.
Il luogo della custodia del sarcofago è la cripta. In origine un sacello protetto, raggiungibile forse solo dai presbiteri per tutelare l’integrità del corpo santo. Dato che si trattava di un luogo segreto, si può ipotizzare che il sarcofago fosse posato sul pavimento dell’interrato.
Solo alla fine del XII sec., periodo in cui si potenzia il culto del martire e la chiesa è ampliata, viene costruito uno spazio architettonicamente compiuto, detto cripta di secondo impianto che diventerà metà di pellegrinaggio e che continua a custodire il corpo del martire, questa volta, sottoterra, dove vi rimane fino al 1179, anno del primo documento scritto sulla traslazione del corpo probabilmente dentro al suo sarcofago. In questo documento si parla di un trasferimento dalla Cattedrale al monastero benedettino di San Giovanni, per proteggerlo da eventuali profanazioni durante i lavori di ampliamento della Chiesa Cattedrale e nel monastero resta fino alla costruzione della cripta di terzo impianto, dove ancora una volta il sepolcro è interrato almeno fino al 1580.
Di rilievo è il fatto che nel ‘500 la cripta viene depauperata di tutti i titoli dei protomartiri (che sono spostati in altre parti della Cattedrale, come ad esempio nelle Cappelle laterali) ed è dedicata solamente al culto del martire Donnino.
La prima separazione del corpo santo dal suo sarcofago è del 1853. L’anno precedente, la diocesi fidentina, seguendo un percorso molto diffuso in tutta Italia, ossia l’invenzione dei martiri, inizierà i lavori di scavo che porteranno alla luce il sarcofago con il corpo santo.
Il sarcofago sarà aperto, il corpo estratto, depositato in una teca (oggi visibile nel Museo diocesano) ed esposto. Il sarcofago viene riempito con la terra santa dell’impronta di scavo, la stessa che sarà trovata nei momenti delle successive aperture: 1979 e 2018.
Nel 1853 il sarcofago sarà posato sotto l’altare maggiore, dove rimarrà fino al 1924, anno in cui torna nella cripta appena restaurata. Tornato in cripta, il sepolcro vuoto viene collocato dietro l’altare.
Nel 1979 il vescovo Mario Zanchin apre la sepoltura: nel sarcofago trova la terra santa con due bottiglie contenenti le pergamene del 1853 che attestano la precedente apertura.
Il sarcofago, però, trasloca ancora e si sposta in un’altra chiesa, oggi sconsacrata: la chiesa di San Giorgio martire, per poi tornare nella cripta della Cattedrale, tra gli ingressi laterali. Il sarcofago, espropriato del corpo santo, viene isolato in una nicchia, proprio sotto ad un arco da cui entravano, per onorare il Santo, i pellegrini del XIII sec.
Nel 2018, per volere del Vescovo Ovidio Vezzoli, il sarcofago risale sul presbiterio come nuovo altare: da sepolcro del martire a mensa del sacrificio a lode e gloria di Dio Padre.